L’introduzione del divorzio in Italia negli anni 70 è stato un ritorno al passato in un certo senso, più che un balzo in avanti (storicamente parlando). Se per gli antichi romani il matrimonio era un contratto la cui validità dipendeva dalla volontà di entrambi i coniugi, nel Medioevo le cose assunsero un connotato ben differente. Già in piena epoca romana Tacito lamentava di un allentamento della solidarietà coniugale, descrivendo così gli invidiabili costumi dei germani:
“I matrimoni sono fra loro una cosa molto rigorosa, e non si potrebbe lodare di più di questo alcun altro aspetto dei loro costumi. Quasi solo fra i barbari, infatti, si appagano di una sola moglie; fanno eccezione pochi i quali hanno l’opportunità di più matrimoni, non per impulso sensuale, ma per la loro nobile condizione. Non è la moglie che reca la dote al marito, bensì il marito alla moglie: ciò si svolge in presenza dei genitori e dei parenti, i quali valutano ed approvano i doni (…) che poi non sono cose destinate alla vanità femminile bensì consistono in buoi, una spada, uno scudo, perchè la donna sappia di non essere estranea alla ricerca del valore e alle vicende di guerra (…) ammonizione che sarà compagna di fatiche e pericoli, che dovrà avere le stesse sofferenze e lo stesso ardimento in pace e in battaglia” [1]
La descrizione di Tacito, oltre ad esaltare i valori del matrimonio germanico, sottolinea la posizione di eguaglianza dell’uomo rispetto alla donna. In ambedue società il matrimonio rimaneva un istituto monogamico, seppure in qualche tribù fosse permesso ai più ricchi di avere diverse mogli. In misura minore rispetto al mondo germanico, Roma riservava (sopratutto in età imperiale) un ruolo sempre crescente alle donne, anche se molto probabilmente nelle campagne il ruolo della donna risultava spesso sottomessa a quello del “paterfamilias“.
Con l’avvento del cristianesimo e il crollo delle antiche tradizioni romane, le carte in tavola cambiarono nuovamente. Sia gli istituti matrimoniali dei barbari che dei romani cambiarono in maniera radicale, così come il ruolo delle donne. Nel corso del medioevo l’unico motivo per cui era possibile recidere dal matrimonio (rescissione solo da parte maschile, quindi unilaterale) divenne l’adulterio. L’avversione verso il divorzio era talmente forte che l’imperatore Giustiniano provò a revocare il divorzio romano, ma il suo successore Giustino II fu costretto a reintrodurre la separazione consensuale.
Scrive lo storico Paolo Cammarosano: “la progressiva erosione della concezione contrattualistica del matrimonio, e la progressiva affermazione di una tradizione che il cristianesimo mutuava dalle proprie origini ebraiche, considerava l’unione matrimoniale come portatrice di un’unione di sangue, carnale ed intrinseca, fortemente indissolubile, e si sarebbe tradotta in un’ulteriore sub-alternanza delle femmine rispetto ai maschi”.
Rispetto all’età romana nel Medioevo si registrò un passo indietro per quanto riguarda l’eguaglianza dei sessi; all’idea di un matrimonio come di concorde gestione della vita ordinaria, si sostituì l’immagine di una matrimonio come male minore. L’indissolubilità del matrimonio pose grandi cambiamenti anche nelle classi più basse; le spose degli schiavi non potevano in questo modo esser più separate dai coniugi. Gli schiavi, ormai diventati servi della gleba, diventavano proprietà del terreno più che delle persone e non potevano più esser venduti a padroni differenti.
Rimane pur vero che neanche nell’antichità, nelle tribù germaniche, in caso di adulterio femminile la punizione fosse leggera; al marito si dava la possibilità di scacciare la donna di casa, di farla bastonare nuda e con i capelli rasati, al cospetto di tutto il villaggio (Cammarosano, 7) [2]
Anche le seconde nozze vennero fortemente sfavorite durante il Medioevo; un primo prodotto di questa avversione del cristianesimo verso un nuovo matrimonio delle vedove emergeva dagli istituti monastici in cui venivano inserite moltissime donne. Nei primi secoli del medioevo vi fu un notevole irrigidimento delle relazioni tra i due sessi, fenomeno intuibile anche dalle figure dei santi; se nei primi secoli dopo Cristo uomini e donne erano ugualmente martiri e santi, nel corso del tempo la santità tese a concentrarsi quasi esclusivamente su vescovi e abiti. Ciò non significa che le donne ne vennero totalmente escluse, ma rispetto ai tempi passati la situazione era peggiorata.
Le novità introdotte dai cristiani riguardavano anche uno dei principali prodotti del matrimonio, ovvero i figli. In questo senso i figli legittimi tendevano ad essere riconosciuti maggiormente rispetto a quelli naturali. Ciò è visibile nel nostro paese dal corpus di leggi longobarde i quali garantivano più diritti ai figli legittimi (maschi o femmine che fossero). Rispetto all’età imperiale, dove anche gli imperatori potevano essere posti come successori attraverso l’istituto dell’adozione, si trattò di un notevole cambiamento anche in questo caso. I decreti longobardi peggiorarono la situazione di subordinazione della donna; a questa non veniva neppure riconosciuta la capacità di badare a se stessa. Nessuna donna, così è scritto nei capitoli di Rotari e Liutprando, può essere selpmundia, non può cioè avere il Mundium, ovvero la potestà o tutela su stessa (Cammarosano, 15) [3]
Ciò non significa che le donne non avessero nessuna tutela; anche durante dei Longobardi esisteva un vera e propria carta dei loro diritti e che proteggeva da possibili violenze le donne, come quella di essere date in sposa prima del compimento del dodicesimo anno di età o di essere violentate.
Il medioevo in conclusione, secondo Cammarosano, eredita in generale “ambedue le tendenze ostili alle donne, quella anti-femminile che considera la donna essere inferiore e quella, coesistente e speculare e che potremmo definire misogina, che vede nella femmina una forma di superiorità, espressa segnatamente nella sfera sessuale, e che perversamente si realizza nel soggiogare il maschio e in definitiva nel risultare sempre su di lui vincitrice” (Cammarosano, 10)
Articolo di Stefano Borroni
Bibliografia
[1][2][3]Paolo Cammarosano, Storia dell’Italia Medievale, dal VI al XI secolo