il 15 settembre del 533 d.C. il generale Belisario faceva il suo ingresso a Cartagine. Dopo aver sconfitto alcuni giorni prima l’esercito dei Vandali nella battaglia di Ad Decinum, l’esercito bizantino varcava trionfalmente le porte dell’antica città di Cartagine, ristabilendo l’autorità romana dopo più di un secolo di assenza.
Chi era Belisario?
Belisario era un generale bizantino di umili origini (figlio di contadini), distintosi per meriti sia in patria, dove aveva aiutato l’imperatore Giustiniano a sopprimere una rivolta interna -rivolta di Nika – , sia sui confini imperiali, dove aveva fermato le armate persiane sconfiggendole a Dara. Fedele alle istituzioni imperiali romane e di madrelingua latina, venne riconosciuto dall’imperatore Giustiniano come il candidato ideale in grado di riportare le terre un tempo appartenute all’impero romano d’occidente sotto l’autorità di Costantinopoli, legittima erede del defunto impero occidentale.
Il Nord Africa era stato infatti perduto dai romani verso la metà del V secolo, quando i Vandali avevano invaso la regione dopo esser discesi dalla penisola iberica. Dopo aver conquistato Cartagine senza colpo ferire nel 439, ne fecero la capitale di un regno nettamente differente rispetto a quelli romano-barbarici tipici dell’Europa occidentale; si mostrarono infatti fieramente indipendenti rispetto agli imperatori e riuscirono ad apprestare una potente flotta in grado sia di razziare le coste di ciò che rimaneva dell’impero romano d’occidente, sia di fermare ogni tentativo romano di riconquista.
Una volta caduto l’impero romano d’occidente, nonostante le persecuzioni ai danni dei cristiani non ariani, i rapporti furono amichevoli tra la corte di Cartagine e quella di Costantinopoli per oltre 60 anni.
L’avvento al potere di Giustiniano mischiò però le carte in tavola. Deciso a ripristinare l’unità imperiale, l’imperatore organizzò diverse spedizioni di riconquista in tutto il Mediterraneo.
Anche al tempo non si dichiarava guerra ad un altro regno senza una giusta causa. Il cosiddetto “casus belli” arrivò quando Ilderico, figlio di Unerico, venne spodestato dal trono vandalo. Discendente dell’imperatore romano Valentiniano III, fece cessare le persecuzioni ai danni dei cristiani non ariani ed adottò una politica filo romana. Tale condotta, unità alla sconfitta subita contro il popolo dei Mauri, gli costò la reputazione. Fu così rimosso, mentre al suo posto venne eletto suo cugino Gelimero. Giustiniano chiese la restaurazione di Ilderico o almeno la sua consegna, ma Gelimero decise di rifiutare, consapevole forse del fatto che l’imperatore stesse cercando un motivo di dichiarargli guerra.
Approfittando delle rivolte anti-vandale in Africa e in Sardegna, dove in quest’ultima (molto probabilmente con la complicità bizantina) aveva rivendicato l’indipendenza un certo Godas, e dell’invio conseguente della potente flotta vandala a sedare la ribellione, Bisanzio si decise per la spedizione.
Vennero imbarcati così, secondo le cifre forniteci dallo storico Procopio di Cesarea (segretario di Belisario), più di 15.000 uomini in armi (10.000 fanti e 5000 cavalieri). Insieme all’esercito imperiale, oltre al già citato segretario, viaggiava anche la moglie del generale (a quanto pare infedele nei suoi confronti) ed una milizia privata pagata dallo stesso generale.
La flotta non partì però sotto i migliori auspici; dovette fare scalo dopo solo pochi giorni di navigazione. Molti uomini avevano contratto della dissenteria a causa del pane andato a male e morirono. Secondo un’inchiesta svolta in seguito, si era scoperto che per risparmiare denaro, il pane era stato cotto solo una volta (invece delle due previste per aumentarne il tempo di conservazione). Il colpevole era il prefetto del pretorio d’Oriente Giovanni di Cappadocia, il quale tuttavia pare non fu mai punito per l’accaduto.
Non era la prima volta che il mondo romano tentava di riconquistare la regione. Nel 468 d.C. una spedizione congiunta dei due imperi romani era fallita miseramente, determinando così in maniera definita ogni possibilità di rinascita dell’impero d’occidente (destinato a spegnersi dopo pochi anni). Stessa sorte era toccata all’imperatore d’occidente Maggioriano, i cui propositi di riconquista erano naufragati insieme alla flotta da lui allestita, distrutta dalle fiamme appiccate dai Vandali prima che potesse spingersi alla riconquista del Nord Africa.
Pare chiaro dunque come Belisario cercasse di essere più prudente possibile nello sbarco. Mentre i suoi aiutanti chiedevano un attacco immediato alla città, il generale optò per affrontare il nemico dapprima in campo aperto, cercando l’appoggio della popolazione locale. Si, perché nonostante il territorio fosse sotto controllo vandalo da più di un secolo, la maggior parte della popolazione si sentiva ancora romana. Per non tradire questo sentimento, Belisario chiese ai suoi uomini di mantenere il controllo e non razziare nulla. La politica del generale diede i suoi frutti e pare che la popolazione cominciò a trattare l’esercito bizantino come un vero e proprio liberatore.
Venuto a conoscenza dell’invasione romana, Gelimero organizzò una controffensiva insieme al fratello Ammata, a cui aveva dato l’ordine di portare le proprie forze a Ad Decinum (ovvero alla decima pietra miliare – un sistema con cui i romani misuravano le distanze). Il tentativo di annientare per accerchiamento la spedizione di Belisario fallì. Sconfitto in battaglia e perduto il fratello nello scontro, Gelimero si ritirò a Bulla Regia dove cercò di riorganizzare l’esercito in attesa dei rinforzi guidati da Tzanon, spedito in Sardegna a sedare la rivolta, e fece uccidere il cugino Ilderico.
Belisario, dopo aver conquistato la città senza colpo ferire e senza averla danneggiata in alcun modo (ne fece invece restaurare le mura, in attesa di un possibile contrattacco vandalo), si decise dopo qualche tempo di affrontare nuovamente sul campo, ed una volta per tutte, l’esercito di Gelimero a cui erano ormai da tempo giunti rinforzi. Fortificatosi a Tricamarum, a 28 km dalla capitale, Gelimero fu nuovamente sconfitto e costretto alla fuga. Inseguito prima da un contingente guidato da un sottoposto di Belisario, Giovanni l’armeno (morto sfortunatamente nell’inseguimento) e poi dal comandate degli Eruli Fara, venne costretto alla resa e portato a Costantinopoli.

L’imperatrice Teodora, famosa per l’astuzia politica. Fu grazie al suo consiglio che il marito non perse il trono durante la rivolta di Nika.
Mentre l’Africa ridiventava parte integrante dell’impero, venendo istituita la prefettura del pretorio d’Africa, posta sotto il controllo di un prefetto del pretorio, Belisario otteneva la celebrazione di un Trionfo a Costantinopoli (sarà l’ultimo). Il destino di Belisario, seppure coperto di vittorie ed importanti risultati (come la successiva campagna in Italia), sarà quello di servire sempre l’impero senza però ottenerne più in cambio alti riconoscimenti. Il sospetto (spesso creato dalla consorte dell’imperatore, l’imperatrice Teodora) che stesse tramando per rivendicare parte dei territori per sé, se non addirittura lo stesso diadema imperiale, lo portarono a più riprese a perdere il sostegno dell’imperatore e in un occasione anche la libertà.
Dopo la morte di Belisario e poi dello stesso imperatore Giustiniano, naufragò per sempre l’idea di recuperare tutti i territori perduti dell’impero. L’invasione dei Longobardi, la minaccia persiana ad est e l’impossibilità di mantenere il controllo su un territorio cosi vasto e dispersivo, obbligarono i bizantini a retrocede lentamente ed abbandonare ogni proposito di grandezza. Nel VII secolo l’invasione araba determinerà infine anche il crollo della supremazia bizantina sul Mediterraneo; Quello che i romani conoscevano come “mare nostrum” diverrà una parola destinata a cadere nel dimenticatoio.
L’impero bizantino rinunciava ad ogni pretesa di dominazione su quel mondo che un tempo era stato di Roma, seppure i cittadini che nascevano sotto il potere di Costantinopoli si facessero chiamare (e si sentissero a tutti gli effetti) romani. La storia non avrebbe più riservato generali ed imperatori disposti a ristabilire l’autorità e la grandezza dell’impero romano, ed è per questo che in un certo senso Belisario può essere considerato sotto molti aspetti, come l’ultimo dei romani.
Articolo di Stefano Borroni