Le circostanze in cui muore il nostro ministro degli Affari Esteri sono tra le più gravi di tutta la storia d’Italia, dall’età liberale a quella repubblicana.
Il 16 ottobre 1914 l’Europa era in guerra.
Attenzione però, l’Europa. Non l’Italia.
Il 28 giugno a Sarajevo viene ucciso l’Arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’impero austro-ungarico, e il mese successivo scoppia la prima guerra mondiale, un conflitto assurdo e atroce durato dal 1914 al 1918.
L’Italia, guidata dal ministero Salandra – San Giuliano e momentaneamente alleata di Germania e Austria-Ungheria, decide di dichiarare la neutralità il 2 agosto.
L’astensione dall’entrata nel conflitto è legittima. Come viene più volte spiegato da Di San Giuliano, il trattato della Triplice Alleanza ha un carattere eminentemente difensivo e non obbliga i membri all’intervento armato se uno degli aderenti al patto risulti avere un atteggiamento offensivo.
L’Austria-Ungheria ha dichiarato guerra alla Serbia, quindi l’Italia non è costretta a scendere in campo.
Discorso chiuso.
E invece no.
Scoppia un dibattito lungo ed estenuante se l’Italia debba intervenire o meno.
Tutta la società italiana, gli intellettuali e la stampa si mobilitano. Tra le testate più spiccatamente interventiste troviamo il “Corriere della Sera” (dopo qualche incertezza iniziale, bisogna ammettere), “Il Secolo” e il giornale fondato da Benito Mussolini a metà novembre, “Il Popolo d’Italia“.
Tra i giornali neutralisti spicca “La Stampa“, giornale torinese fondato nel 1867.
Il motivo per cui l’Italia potrebbe intervenire in guerra è la concessione dei territori irredenti: il Trentino, il Tirolo, l’Istria, la Dalmazia (queste zone saranno promesse all’Italia nel Patto di Londra).. In merito a tale questione è interessante osservare come i neutralisti desiderassero anche loro questi territori, ma la distanza con gli interventisti si accentua sulle modalità: le fazioni favorevoli all’intervento ritengono che la guerra sia l’unico per completare l’unità d’Italia e portare a compimento il processo risorgimentale; i neutralisti, che fanno capo principalmente all’on. Giolitti, ritengono che tutto ciò si possa ottenere anche per via diplomatica.
San Giuliano – scrive Luciano Canfora – era pienamente consapevole delle contraddizioni della politica italiana, e al corrente delle preoccupazioni austriache per eventuali “conseguenze indesiderate”.
E San Giuliano in tutto questo caos mediatico, in quello che sarà definito un “dialogo tra sordi”?
A inizio ottobre inizia la lenta agonia del nostro ministro degli Esteri; si parla di un attacco di gotta.
La storia, è vero, non si fa ‘con i se e con i ma’. Tuttavia se il Governo italiano si fosse reso conto della debolezza (fisica e politica) del suo ministro e del fatto che, nelle condizioni in cui si trovava, non sarebbe riuscito a rappresentare il Paese di fronte alle altre Potenze in un momento in cui l’attività diplomatica era fondamentale, forse avrebbe potuto correggere la linea e la mentalità dell’Italia.
Quando viene data la notizia della morte di San Giuliano, Salandra assume l’interim del Ministero degli Esteri, per poi concederlo a Sidney Sonnino, politico di ideologia fortemente conservatrice che avrebbe portato l’Italia a firmare il Patto di Londra il 26 aprile 1915 e ad entrare in guerra il 24 maggio.
La tattica del ministro degli Esteri Sonnino – scrive Gian Enrico Rusconi – è quella di alzare sempre di più il prezzo della neutralità italiana per creare l’occasione della rottura. L’intervento contro l’Austria diventa inevitabile e cambia prospettiva. Dietro la retorica del “sacro egoismo” – espressione fortunatissima ed emblematica coniata da Antonio Salandra – le “aspirazioni nazionali” vanno ben oltre le finalità irredentiste perchè mirano al raggiungimento dello “status” di grande potenza dell’Italia, con la modifica dell’intero equilibrio della regione adriatico-balcanica.