I motti di Gabriele D’Annunzio

Alla voce «motto», nel dizionario della lingua italiana si trova scritto: «parola e frase nella quale è compendiato l’assunto di una persona o di una comunità». Nel caso dei motti dannunziani si può affermare che essi divennero espressione non solo della persona, ma anche di un’intera comunità, ovvero della società italiana del nostro secolo.

Il Vate, nato a Pescara il 12 marzo 1863 e morto il 1° marzo 1938, è stato uno degli autori italiani più influenti e più importanti che il Bel Paese abbia mai avuto. Autore de «Il piacere» e de «Il trionfo della morte», Gabriele D’Annunzio ha di fatto segnato un’epoca.
Quali sono i motti più famosi legati a questo personaggio?

Semper adamas (sempre invincibile)

Motto coniato per la Prima Squadriglia navale. Adolfo De Carolis ebbe l’incarico di eseguire la xilografia, raffigurante un braccio potente con l’indice teso, che si leva tra le fiamme.

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Eja, eja, alalà

Grido di guerra suggerito da D’Annunzio al posto del “barbarico” hip, hip, urrà! durante una cena alla mensa del Campo della Comina, nella notte del 7 agosto 1918. Il motto ha origini classiche: l’eja è una parola greca, usata da Eschilo e da Platone; era diffuso anche nel Medioevo e cantato dai Crociati. L’alalà (dal greco alalazo), grido di guerra e di caccia, usato da Pindaro e da Euripide, si trova anche in Carducci e in Pascoliemise allora un alalà di guerra»).

Sufficit animus (basta il coraggio)

E’ il secondo motto della Prima Squadriglia navale, per il quale De Carolis disegnò uno sperone di nave sostenuto dalle ali di un’aquila.

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Memento audere semper (ricordati di osare sempre)

E’ il più celebre motto di guerra dannunziano, legato alla memorabile «beffa di Buccari» dell’11 febbraio 1918.

Osare l’inosabile

Motto dei Marinai d’Italia, contenuto nel messaggio che D’Annunzio scrisse con inchiostro indelebile e chiuso nelle bottiglie «beffarde» lasciate nella Baia di Buccari dopo aver silurato quattro navi mercantili.

Non piegare di un’ugna

E’ l’appello lanciato a tutti gli ufficiali italiani in un discorso che D’Annunzio tenne nel novembre 1917, dopo la terribile disfatta di Caporetto. Il Comando militare italiano “usava” il Vate che con i suoi infuocati messaggi e le sue imprese spericolate cercava di risollevare il morale dei soldati e di infondere in loro nuova fiducia.

Et ventis adversis (anche con i venti contrari)

Motto coniato per la Marina italiana. D’Annunzio si imbarcò all’inizio della guerra sul cacciatorpediniere Impavido come marinaio volontario e il 18 agosto 1015 prese parte ad una missione di guerra nelle acque di Grado.
Il Poeta descrisse le impressioni di quella avventura nel Notturno.

Non ducor, duco (Non sono guidato, guido)

Motto dei legionari fiumani. E’ scritto in un cartiglio posto alla base di una ghirlanda di rami di quercia

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Cum lenitate asperitas (le difficoltà vanno trattate con dolcezza)

Ecco uno dei motti creati da D’Annunzio per scopi pubblicitari, in questo caso per la ditta di profumi di Bologna, Lepit.

Uno contro uno, uno contro tutti

Motto degli Arditi, gridato durante le esercitazioni militari in truppe compatte che avvenivano sulla piazza principale di Fiume.

Si spiritus pro nobis, quis contra nos? (se lo spirito è con noi, chi potrà andare contro di noi?)

Parafrasi della frase biblica: «Si Deus pro nobis, quis contra nos?». Il motto precede i 65 articoli della Carta del Carnaro presentata al popolo di Fiume la sera del 30 agosto 1920 al Teatro Fenice.

A noi!

Risposta alle enfatiche domande poste ai legionari durante la Festa di San Sebastiano, il 20 gennaio 1920:
«A chi la forza?»
«A chi la fedeltà?»
«A chi la vittoria?»

Ognora desto

Motto utilizzato dal Poeta da sprone al suo lavoro letterario. Lo usò per i suoi ex libris, accompagnato dall’immagine di un gallo che canta ritto su una pila di libri.

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Immotus nec iners (fermo ma non inerte)

Frase oraziana scelta da D’Annunzio per il suo stemma nobiliare di «principe di Monte Nevoso» disegnato dal pittore Guido Marussig, raffigurante la cima del monte coperta di neve e sovrastata dalle sette stelle dell’Orsa.

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Cinque le dita e cinque le peccata

La frase è incisa su cornicione della «Stanza delle reliquie» al Vittoriale. Per D’Annunzio i vizi capitali sono solo cinque invece di sette, perché la lussuria e l’avarizia per lui non sono peccati.

Vivere ardendo e non bruciarsi mai

Parafrasi di un verso di Gaspara Stampa: «vivere ardendo e non sentire il male».
Il motto fu adottato da D’Annunzio anche in guerra e durante l’impresa di Fiume.

Fonti

R. De Felice, Carteggio D’Annunzio-Mussolini, Mondadori, Milano 1971.
P. Sorge, Motti dannunziani, Tascabili Economici Newton, Roma 1994.

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