Recensione: “Oppio. Storia di una droga dagli Egizi a oggi” – M. Seefelder

Il best-seller di Matthias Seefelder, Oppio, edito nel 2021 da Odoya, è molto più della storia di una droga.

Attraverso questo saggio Seefelder rimarca la centralità che le coltivazioni del papavero indiano (o papaverum somniferum) hanno assunto in questioni non solo culturali e sociologiche, ma anche commerciali e geopolitiche.
Dal papiro di Ebers (1550 a.C. ca), uno dei libri di ricette più antichi al mondo, alla prima guerra dell’Oppio, nel 1840; dalle Confessioni di Thomas de Quincey a Le Mille e una Notte; dai culti misterici in onore di Demetra alle grandi organizzazioni del mercato della droga. Insomma, l’oppio è onnipresente nel saggio di Seefelder, ma non solo: è un grande protagonista della storia globale, tanto europea quanto extra-europea, dal Neolitico ad oggi.

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Verranno qui ripercorse alcune delle principali tappe del libro.

Partiamo dalle origini: le più antiche tracce di semi di papavero sono state rinvenute nel corso di scavi archeologici nei pressi di Berna e del lago di Costanza. Con grande probabilità gli uomini delle caverne avrebbero fatto uso del papavero per le sue proprietà nutritive, mentre si hanno ancora dubbi riguardo il suo utilizzo come droga. A tal proposito, invece, si ha la certezza che le civiltà dell’antica Grecia avessero sviluppato tradizioni che gravitavano intorno al consumo dell’oppio: i culti misterici in onore della dea Demetra ne sono un primo esempio, così come i culti dionisiaci, in onore di Dioniso.

Ma perché proprio Dioniso e Demetra?
Secondo la mitologia, a seguito del rapimento di Persefone da parte di Ade, il dio degli Inferi, Demetra, madre di Persefone, assunse dei semi di papavero in preda alla disperazione. Quello stesso papavero venne poi donato dalla dea agli uomini: l’oppio così divenne uno dei principali attributi di Demetra. Allo stesso modo venne accostato a Dioniso, dio del vino, dell’ebbrezza e dell’estasi, figlio della stessa Demetra e di Poseidone.

Persefone o Proserpina, ritratta da Nicolas Mignard nel dipinto "Il ratto di Proserpina"

Che l’uso dell’oppio fosse ampiamente diffuso nell’antica Grecia lo testimoniano più elementi, come la sua comparsa in alcuni passi dell’Iliade e nelle Storie di Tucidide, ma non solo: lo testimoniano particolari incisioni presenti su alcune monete, raffigurazioni artistiche e, non meno importante, la circolazione di numerose ricette di medicina a base di papavero, già noto per i suoi effetti benefici e antidolorifici.

Anche a Roma si diffuse l’oppio, sia come spezia che come narcotico – soprattutto in occasione di riti dedicati a Cerere, la divinità romana corrispondente a Demetra. Furono però gli imperatori romani i principali consumatori di oppio (nonché i loro medici personali): Tito, Nerva, Traiano, Adriano … soprattutto Marco Aurelio, che sperimentò i gravi effetti della dipendenza. E se Settimio Severo si decise a liberalizzarne l’uso, determinando un notevole aumento delle importazioni di oppio dall’India, fu il Cristianesimo a porre una netta cesura, portando con sé una nuova morale e nuovi costumi: risale al V secolo una bolla papale in cui si vietava tassativamente il consumo di oppio.

Il messaggio di Maometto, poi, non era molto diverso da quello dei padri della Chiesa, anch’esso contrario alla diffusione delle droghe nella società. Ciononostante, La Mecca divenne un importante centro di diffusione dell’oppio, grazie alla moltitudine di pellegrini che portava con sé tra le provviste i suoi semi per superare le difficoltà del viaggio lungo e tortuoso. L’oppio, peraltro, nel mondo islamico fu motivo delle tante scissioni religiose: sette particolari, come quella del misticismo, del sufismo e dei fachiri, consumavano regolarmente l’oppio per sostenere i lunghi digiuni ed entrare in contatto con il divino.
I racconti de Le Mille e una Notte offrono una testimonianza importante dell’ampiezza del consumo del benj – un termine ricorrente nel testo, ma usato indistintamente per oppio e hashish.  

In che modo Islam e Cristianesimo sono collegati | documentazione.info

Fu proprio grazie alla mediazione del sapere arabo (filosofico, medico, scientifico) che l’Occidente, nel corso del Medioevo, si riavvicinò alla cultura greca: le crociate consentirono importanti scambi culturali tra Islam e Cristianità, la quale riscoprì progressivamente la medicina di Galeno, vissuto in epoca ellenica, tra il 129 e il 201. Nelle sue ricette spesso figurava l’oppio a fini terapeutici. L’oppio ricominciò, quindi, ad essere menzionato nella produzione medicinale, come dimostrano l’Antidotanum Nicolei, uno scritto risalente al secolo XII e ben più tardi, in età moderna, gli scritti del medico Teofrasto Paracelso (1493-1541).

Qualche secolo più avanti dal commercio dell’oppio scaturirono numerosi conflitti coloniali. A dominare la scena fu, tra le potenze occidentali, l’Impero britannico.

Le Guerre dell'Oppio: ascesa coloniale dell'Occidente e declino del Celeste  Impero - Alberto Massaiu

Fu determinante la crisi che la Compagnia delle Indie Orientali attraversò nella seconda metà del Settecento, dovuta all’incapacità di coprire le ingenti spese per l’amministrazione interna. Una quota dei profitti della Compagnia proveniva già da tempo dalle coltivazioni di oppio in India, destinate esclusivamente all’esportazione. Fu proprio allora che si decise di aumentare gli introiti della Compagnia rendendo l’oppio l’elemento centrale dei suoi traffici commerciali e, per farlo, divenne necessario espanderne la superficie delle coltivazioni.

Produrre quanto più oppio possibile determinava il problema di assicurarsi ampi sbocchi commerciali. La risposta fu la Cina: la piena apertura commerciale dell’impero cinese avrebbe garantito l’estensione della rete dei traffici e dunque la possibilità di accrescere le entrate della Compagnia in modo esponenziale. Le difficoltà principali, tuttavia, derivavano dall’avversione al consumo dell’oppio da parte delle autorità cinesi, che da tempo varavano decreti per vietarne l’importazione e la coltivazione interna. L’oppio, infatti, rappresentava un grave problema per le disastrose conseguenze psicologiche e sociali nella popolazione, e generava corruzione, portando alla rovina l’amministrazione centrale. Nonostante i divieti, si cercò di sopperire attraverso la formazione di fitte reti clandestine che commerciavano con l’occidente.

Guerre dell'oppio - Wikipedia

Alla guerra si arrivò per gradi.
L’Inghilterra cercò di sfruttare il commercio illegale di oppio con il Regno di Mezzo per sanare il grave deficit registrato nel bilancio dell’argento, dovuto all’importazione del tè dalla Cina, la quale pretendeva pagamenti in solo argento. Per ovviare, dunque, l’Inghilterra favorì la vendita dell’oppio della Compagnia delle Indie Orientali alla Cina, accettando a sua volta pagamenti in solo argento. Il risultato fu un netto miglioramento del bilancio dell’argento inglese, a cui però corrispose un deficit di quello cinese. La Cina fronteggiava una duplice pressione: esterna, da parte dei “diavoli stranieri”, per aprire i suoi mercati; interna, per la diffusione sempre meno controllabile del traffico illegale di oppio.

La prima guerra dell’oppio venne combattuta nel 1840, terminando nel 1842 con la sconfitta della Cina. La seconda guerra dell’oppio, invece, fu combattuta tra il 1856 e il 1860. A quest’ultima presero parte, accanto all’Inghilterra, gli Stati Uniti e la Francia. Tutto si concluse, non senza ombre, con la liberalizzazione dei commerci a fine secolo da parte della Cina, dando origine alla sua grande umiliazione.

Che l’Inghilterra ignorasse le gravi ripercussioni del consumo di oppio nella società era evidente, oltre che dalla sostanziale indifferenza con cui impose il suo consumo in Cina, anche dalla stessa negligenza che adoperava internamente: non esistevano, in Inghilterra, leggi volte a limitare l’uso dell’oppio e tra il 1830 e il 1860 le importazioni aumentarono da 10.000 a 40.000 chili.

Fumatrici di oppio di Gaetano Previati - ADO Analisi dell'opera

A fare uso degli oppiacei, in un primo momento, furono perlopiù nobili e borghesi. La corrente culturale del Romanticismo rese l’uso degli stupefacenti funzionale alla produzione artistica e letteraria: molti dei più grandi nomi, come quelli di Coleridge, Allan Poe, de Quincey, Shelley e Byron, ebbero a che fare assiduamente con queste sostanze.

La prima rivoluzione industriale e la conseguente nascita del proletariato urbano, tuttavia, stimolarono un’enorme diffusione dell’oppio anche tra i ceti operai: reperirlo era molto facile, oltre che più economico rispetto al liquore e al gin, e risultava essenziale per evadere dal lavoro alienante cui si era sottoposti nelle fabbriche.

1: Laudanum is a mixture of opium and alcohol. It was very widely used... |  Download Scientific Diagram

Il fenomeno, in realtà, riguardò anche i bambini nati in famiglie operaie: questi, infatti, dovettero imparare ben presto a sopportare la lontananza della madre lavoratrice; a questo fine venivano venduti nelle farmacie – e con estrema facilità – dei preparati a base di oppiacei, come il Godfrey’s Cordial, necessari a tranquillizzare i bambini. I fenomeni di dipendenza e di morte per oppio, dunque, non conoscevano limiti di genere e di età ed erano sempre più numerosi nei paesi europei ed extraeuropei.
Solo tra fine Ottocento e inizio Novecento iniziò a diffondersi tra le stesse potenze commerciali la preoccupazione derivante dalla diffusione del consumo interno delle droghe.

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L’analisi di Seefelder si spinge fino ai giorni nostri, dedicando uno dei capitoli finali alla denuncia dei grandi traffici illegali. Storicamente, ogni limitazione all’uso della droga ha sempre e sistematicamente mancato l’obiettivo principale, mettendo invece in moto le organizzazioni criminali e il mercato nero e promuovendo una certa concorrenza all’interno di esso. Il risultato è sempre stata la formazione di uno stato nello stato: un’economia agricola, fondata sulla coltivazione del papavero e la lavorazione dell’oppio, la cui merce viene esportata attraverso percorsi privi di controllo e protetti da una polizia privata. Inutile sottolineare come queste entrate rappresentino una quota non trascurabile per il bilancio di molti paesi (nei soli Stati Uniti i proventi raggiungono all’incirca 110 miliardi di dollari).
Il monito è chiaro.

Per concludere: Oppio è un saggio composito e variegato, ma scorrevole ed estremamente stimolante. La ricerca dell’autore tocca innumerevoli tematiche, di cui solo poche sono state introdotte. La ricchezza della bibliografia, che occupa diverse pagine alla fine del volume, ed i titoli in essa elencati, esprimono la serietà, la passione e la scientificità con cui gli argomenti trattati sono stati studiati e rielaborati. La chiarezza espositiva, poi, la rende una lettura adatta tanto agli “addetti ai lavori” quanto agli outsider.

Il libro, pertanto, è estremamente e sinceramente consigliato!

Titolo: Oppio. Storia di una droga dagli Egizi al XX secolo.
Editore: Odoya, collana Odoya library
Pagine: 320, riccamente illustrate
Prezzo di copertina: 22 euro
Valutazione: 5/5


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